LallaTraLeNuvole racconta…

LallaTraLeNuvole si presenta…

 

Lalla_on the clouds alias Ilaria Ferretti sta all’arte contemporanea come una chiave a brugola in un negozio di stoffe.

Nonostante gli studi universitari in storia dell’arte, ormai dispersi nelle pieghe del tempo, al cospetto delle opere che la contemporaneità partorisce si è spesso ritrovata ad assumere un sorriso lievemente inebetito, a farfugliare parole confuse per poi emettere, una volta fuori dalla galleria di turno, l’antico suono ancestrale che da almeno un secolo risuona nelle zone antistanti happening, istallazioni e performance:

BOH!

Nonostante questo, e anzi forse proprio per questo, ha accolto ben volentieri l’invito degli amici de La Compagnia del Bosco, accettando di intervistare i numerosi artisti che si esibiranno in occasione di TRA ART_ PROVE GENERALI D’ARTE CONTEMPORANEA in programma il 4 Settembre a Casciana Alta – Lari.

Se anche voi, come lei, dubitate di coloro che di fronte a istallazioni e dipinti senza colore e senza forma proferiscono con sicurezza spiegazioni che non mancano mai di far riferimento all’ “…inquietudine dell’uomo contemporaneo” ma al tempo stesso sospettate che sotto sotto, in quel fare rabdomantico degli artisti odierni, senza regole né codici prestabiliti, ci possa essere qualcosa di prezioso e illuminante, seguitela nel suo percorso.

Chissà che per entrare in questo mondo non ci sia soltanto da indirizzare in modo un po’ diverso lo sguardo e da trovare le chiavi giuste.

Magari, anche una chiave a brugola.

 

TRA ART_PRIMA PUNTATA

Di lalla_ontheclouds

Saranno passate le comunioni di Giugno, i matrimoni estivi e il fuggi fuggi domenicale per stemperare il corpo braccato dall’arsura.

Avremo alle spalle viaggi “interessanti” e settimane al mare dopo Ferragosto, radiose e profumate di malinconia.

E saremo ancora qua.

Il sole si sarà fatto più clemente e cammineremo per le strade dei colli seguendo la luce nitida di settembre che pulisce i profili delle case e si allarga sopra gli scorci panoramici.

E passeremo sotto un arco, saliremo gli scalini, passeggeremo da una piccola piazza a un’altra come se passassimo dal soggiorno al salotto di casa nostra.

E in quel momento scopriremo quanto ci è mancata.

Ad accoglierci ancora loro, Andrea e Eva, che hanno adottato Casciana Alta che ha adottato loro.

E sotto il cielo silenzioso di settembre questo paese aprirà le sue piazze, i vicoli e le corti per lasciare entrare il vento magico che scuote i panni stesi, porta via i cappelli e ci strattona il cuore.

Affamati di vita e poesia diamoci appuntamento là, il 4 Settembre per svuotare le tasche dai pensieri, per seguire chi versa oro sulle ferite delle case abbandonate, per respirare la stessa aria di chi prova a vendere ciò che non si può comprare.

Scommetto che non rimpiangeremo le domeniche nei grandi magazzini.

 

TRA ART_ SECONDA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

LE INTERVISTE AGLI ARTISTI

MURAT ONOL

Murat Onol

 

Iniziamo a conoscere gli artisti che saranno coinvolti in TRA ART_PROVE GENERALI D’ARTE CONTEMPORANEA e attraverso una serie di incontri e interviste scopriremo insieme le ragioni profonde del loro lavoro, la necessità intima che li muove, li conduce di piazza in piazza, di galleria in galleria, fino ai luoghi meno battuti dalle sperimentazioni artistiche e visive.

Incontro gli artisti MURAT ÖNOL, INA RIPARI e ENZO CORRENTI dopo il sopralluogo nel paese che sarà teatro dell’evento TRA ART.

Si vede che il paese gli è piaciuto, che hanno ricevuto stimoli adatti alle loro corde e ciascuno di loro sta cominciando a immaginare azioni artistiche che si aggancino e integrino con quelle strade, quegli scenari e le atmosfere del posto.

Questa prima intervista è rivolta a MURAT ÖNOL, artista turco, nato a Istanbul nel 1971 e residente in Italia da quindici anni. Come si legge sul suo sito, ÖNOL è attivo nella realizzazione di installazioni e video installazioni, come performer, pittore e fotografo. Ha fondato i gruppi artistici La banda umana e Verso, insieme a Lauraballa; scrive d’arte, di politica e sociale sulla rivista pratese Scheda. Fa inoltre di parte di quel gruppo di artisti che si è dato appuntamento negli ultimi anni alla Carrozzeria Rizieri di Pontedera, officina artistica e luogo di incontro delle correnti emerse e sommerse che si muovono nel grande mare dell’arte contemporanea.

Quali idee ti ha suggerito il sopralluogo a Casciana Alta, che sarà teatro dell’evento TRA ART?

Probabilmente partirò dallo spunto che mi hanno dato le tante cartoline VENDESI appese alle case del paese. Sto ancora pensando a come sviluppare questa idea ma credo che sarà una performance che si svolgerà nell’arco di tutto il pomeriggio e che avrà come protagonista proprio una persona che si vende.

Sei rimasto colpito vedendo che molte case sono in vendita?

In realtà ho visto vari altri paesini che sono in una condizione simile. Per esempio Arcevia, nelle Marche, vicino a Fabriano, è un altro paese piuttosto isolato e anche lì stanno tagliando molti servizi come le poste o l’asilo; così i giovani vanno via. Sono posti bellissimi che talvolta vivono situazioni difficili. Casciana Alta da una parte è in una condizione migliore perché è abbastanza vicina ad altri paesi, a Pisa e a Pontedera.

In generale, comunque, il tema del vendersi mi sembra interessante. Oggi c’è una situazione di precarietà che si riscontra sia a livello lavorativo che esistenziale. Questa precarietà contraddistingue un po’ la condizione umana attuale. Ognuno in qualche maniera diventa padrone di se stesso ma anche schiavo di se stesso. Io sono sempre stato un lavoratore indipendente, ormai da 18 anni (Murat Önol lavora per il cinema come traduttore n.d.l.) conosco abbastanza bene il discorso della precarietà, non è una cosa nuova, ma il mondo del lavoro è cambiato parecchio, e oggi la precarietà è entrata nelle nostre vite private e le ha cambiate in maniera più radicale. È una situazione molto pesante.

Questo è il tema che mi ha suggerito la visita al paesino, poi vediamo se esce fuori qualcos’altro…

Come intendi il rapporto con il pubblico di Casciana Alta, magari non abituato a queste forme di espressione artistica?

Il rapporto con il pubblico è sempre complesso. Io sono abbastanza fortunato perché nelle mie performance faccio spesso riferimento a una ritualità e in un paese cattolico le persone sono abbastanza abituate a un discorso rituale.

Uno prova. E’ difficile sapere prima se arriverà qualcosa.

Come lavori su questa ritualità? Ti servi di fonti iconografiche precise o sono tue rielaborazioni personali?

Dipende molto dalla performance. Sono molto interessato alla teologia intesa come forma di linguaggio; in alcune performance ci sono fonti precise -come nel lavoro con Ina Ripari presentato a Prato a gennaio di quest’anno, in cui ci siamo rifatti testualmente alla Pietà di Michelangelo. In altri casi ci sono movimenti e azioni che hanno altre opere e immagini come lontano riferimento. In questo modo per le persone diventa più facile entrare in quel mondo.

Il mio intento è quello di rifare quel mondo per distruggerlo sotto gli occhi del pubblico.

E ricreare tutto. Ecco qual è l’intenzione finale.

Qual è la tua misura personale per sentire che una cosa arriva? Che un gesto, un’immagine, una frase hanno la forza di raggiungere chi guarda?

Nessun artista lo sa. In realtà c’è solamente un’intuizione. Si può parlare anche di una pazzia, una fissazione. Non c’è mai la garanzia. Uno segue la sua strada, alla fine si buttano i dadi per ciascuno di noi. Lo so che oggigiorno vogliamo calcolare tutto, prevedere tutto, tutto deve essere spiegabile, però in molti casi si dimentica che le arti visive o le performance non sono scritte per il semplice motivo che se ciò che si voleva esprimere si fosse potuto scrivere sarebbe stato scritto, non si sarebbe fatta una performance o un quadro. Tante volte quel che si voleva dire con quel quadro è inspiegabile. Poi mi rendo conto che c’è una richiesta verso gli artisti, ma non solamente verso gli artisti, verso tutti, a “spiegare”.

Allora si chiede “che cosa volevi dire qui?” “cosa volevi dire con questo”.

I rapporti in generale sono diventati molto complicati, si è perduta fiducia tra le persone e allo stesso modo si è persa anche fiducia tra artisti e pubblico.

Alla fine se ne può parlare anche molte ore ma io non lo so. Non so nemmeno io per quale motivo faccio queste performance.

Faccio quello che so fare.

Ci pensa un po’ su, poi aggiunge:

Poi – è vero – è molto discutibile anche se so fare questa cosa. Magari alla fine si capirà che tutto era una grandissima cazzata e sparirà tutto.

Ci mettiamo tutti a ridere, io, Enzo e Ina che assistono all’intervista, Andrea e Eva che ci ospitano per questo incontro, e con quest’ultima affermazione Murat conquista la mia simpatia e accende ancora di più la mia curiosità di vederlo all’opera.

Tra i tanti temi che sono usciti fuori da questa chiaccherata quello del rapporto di fiducia tra un artista e il pubblico mi sembra tra i più interessanti.

Anch’io entrando in questo mondo mi muovo con la circospezione di chi entra in un territorio sconosciuto, di chi vorrebbe almeno una Lonely Planet per orientarsi e le viene risposto che guide non ce ne sono.

Tirano i dadi gli artisti, tirano i dadi gli spettatori che non hanno dimestichezza ad entrare in questa dimensione “altra” e ne restano talvolta irrigiditi, proprio come me.

Eppure questa idea che ci sia in gioco un rapporto di fiducia in qualche modo mi rincuora e un artista che è disposto ad avanzare per assurdo l’idea che tutto sia “una grandissima cazzata” mi fa partire con l’idea che ci sia tutto da guadagnare.

E che alla fine l’arte, e tanto più le arti performative, possono essere intese prima di tutto come uno spazio di incontro.

E allora provo a immaginare così TRA ART, questa giornata di Prove generali d’arte contemporanea , come un Parco in cui, come da bambini, si fa il gioco della fiducia: ci si butta addosso e ci si sostiene a vicenda.

E mi faccio un film in cui vedo piazze, corti e cantoni di Casciana Alta in cui si mostrano le più svariate e visionarie forme di questo gioco. E dove gli artisti imparano a fidarsi del loro pubblico e il pubblico impara a fidarsi degli artisti.

Ma che bello essere umani.

TRA ART_ TERZA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

david brogi 3

Intervista a David Brogi. Il clown che scolpisce emozioni

di lallaontheclouds

David Brogi, classe 1970, originario di Ponsacco, inizia giovanissimo, a metà degli anni ’80, lo studio delle arti figurative frequentando la scuola pisana del maestro Pollacci dove affina le abilità tecniche e espressive di scultore.

Successivamente sul suo percorso incrocia il teatro. E anche stavolta si accende la passione. Finché a un certo punto le strade diverse tornano a convergere. E oggi il suo intento è scolpire emozioni.

Cosa ti interessa in questo momento? Qual è la tua linea di ricerca?

Ho una formazione accademica come scultore ma attualmente lavoro sull’incontro tra due discipline. Nelle mie performance si incontrano la clownerie e l’intervento scultoreo sulla creta.

In che modo?

Il mio personaggio è quello di un clown. Non è un clown simpatico. È fastidioso come l’ortica, politicamente scorretto. È con questo clown che io procedo in performance con la scultura della creta. Si tratta di quella che io chiamo “scultura in velocità”: quindici minuti di colpi alla creta, ben assestati. Sono movimenti studiati, che richiedono anche una speciale preparazione fisica. Si tratta più propriamente di “un abbozzo di scultura in velocità” perché naturalmente una scultura compiuta non si realizza nei quindici minuti della performance.

L’intento è più che altro quello di imprimere un’emozione negli osservatori.

Hai accennato ad una preparazione fisica alla performance. Di che tipo?

Tutti i giorni mi alleno: vado a camminare e faccio determinati movimenti con dei pesi per sviluppare il fiato e la forza fisica. In quei quindici minuti si concentra un grande dispendio di energie e devo riuscire a far stare in equilibrio lo stato emozionale e la potenza fisica. Trovo che l’allenamento dia più solidità al mio lavoro.

E una volta terminata la performance? Torni a lavorare su quel pezzo o è un’opera che vive esclusivamente nell’azione artistica?

Di solito nel momento in cui si conclude la performance si conclude anche l’intervento su quel pezzo. Talvolta lo lascio all’organizzazione della manifestazione, come ho fatto a Napoli o a Caivano.

Altrimenti è terra, e lì lo faccio tornare. Lo spacco e lo rimpasto con la terra. Nulla va sciupato.

In che rapporto sta ora la tua attività di clown performer con il ragazzino che andava a Pisa con il pullman a studiare scultura dal maestro Pollacci?

Il mio percorso è andato avanti così: un po’ “astratto” e un po’ “a strattoni”. Paradossalmente pian piano comincio ad avere una mappa mentale di tutto il casino che ho fatto. Così mi guardo indietro e vedo ormai una piccola folla, messa insieme negli anni, di opere che mi seguono.

L’altro giorno guardavo delle sculture che avevano tutte una stessa inclinazione della testa, come una sfumatura di beatitudine. Il buffo è che le ho fatte in tempi diversi e con tre modelle diverse.

Quale tema pensi di portare a Casciana Alta?

Il tema devo ancora definirlo ma avrà sicuramente un forte riferimento con il paesaggio d’intorno. Sarò alla Croce, la piccola frazione appena sotto il borgo di Casciana, e da lì c’è una grande apertura panoramica. Lancerò un messaggio verso la linea dell’infinito, quell’orizzonte che si allarga a perdita d’occhio guardando verso il mare.

Questo personaggio del clown e questa idea della scultura in velocità si riagganciano alle attività di qualche altro artista o sono una tua originale creazione?

Nel mondo dell’arte contemporanea ci sono così tante cose che magari c’è già qualcosa di simile ma io ho concepito le mie performance in maniera originale, ispirandomi ad esperienze che appartengono alla mia formazione.

Da una parte la formazione accademica nella scultura; dall’altra l’esperienza teatrale, con Andrea Kaemmerle, poi il Teatro Agricolo, fino ad approfondire lo studio della clownerie .

Io amavo entrambi questi percorsi, non volevo rinunciare a nessuno dei due e anzi pensavo di approfondirli, così ho deciso di unire, di fondere queste due esperienze.

Oggi quando inizio una performance entro capo e piedi in quella situazione, perdo ogni altro riferimento e vado avanti in una sorta di trance.

Ci pensa un po’ poi aggiunge:

L’unico rammarico che ho è non avere abbastanza tempo per fare quello che mi pare.

TRA ART_ QUARTA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

Intervista a Enzo Correnti. L’arte di divertirsi ovvero un dadaista si aggira per le campagne

l'uomo di carta. Enzo

di Lallaontheclouds

Enzo Correnti, classe 1953, nasce e cresce in Sicilia e a vent’anni approda a Prato, con la moglie Ina Ripari (anche lei tra i performer di TRA ART e che sarà oggetto di una prossima intervista) dove matura una personalità artistica fuori dagli schemi.

Dalla Mail art al Dada, dalla Land art alle Arti performative, sono tanti i territori artistici battuti da Enzo che pure in mezzo alle etichette sguscia come un’anguilla e porta avanti sempre una sua personale autonomia di ricerca. Il cui motore principale è il divertimento. “Faccio arte perché l’arte mi diverte” mi rivela nel corso dell’intervista.

E allora per aprire questa sua intervista mi viene in mente così, d’emblée, quella scena del film La Ricotta di Pier Paolo Pasolini in cui un giornalista chiede a Orson Welles un’opinione su Fellini.

E l’autore di Citizen Kane, qui in veste di alter ego e portavoce del pensiero pasoliniano, risponde pensoso: “Egli danza”. Pausa. “Egli danza”.

Così, per introdurre Enzo Correnti, si potrebbe dire: “Egli gioca”. Pausa. “Egli gioca”.

Se poi il gioco di Correnti abbia la funzione rivoluzionaria che gli hanno dato i dadaisti o affondando le sue radici in quel terreno fecondo di libertà creativa conduca verso altri e ancor più spericolati territori lo scopriremo vedendolo all’opera.

Intanto con questa intervista Correnti ci dà un assaggio di quelle che sono le sue idee riguardo a ciò che realizzerà.

E ci avverte.

Le sue intenzioni sono tutt’altro che serie.

Qual è il tuo approccio a TRA ART e al contesto in cui avrà luogo? Questo piccolo borgo appoggiato sui colli dell’assopita campagna pisana…

Personalmente ho una vera passione per i piccoli borghi di campagna. Da anni prediligo esibirmi in questi luoghi di cui amo una cosa in particolare. Il silenzio. Il silenzio della campagna mi emoziona. Abituato a vivere in città lo apprezzo particolarmente. Del resto mi piace definirmi un “contadino prestato alla città”.

Roberto Benigni quando ricevette l’Oscar disse: “Ringrazio i miei genitori che mi hanno regalato la povertà”.

Ecco, anch’io vengo da una famiglia non ricca e in cuor mio ringrazio mio padre che mi ha regalato l’amore e il rispetto per la natura. Nella famiglia in cui sono cresciuto il cibo era una cosa seria e importante e mio padre mi insegnava ad andare in cerca di erbe spontanee e vegetali.

Tutt’ora ho una profonda conoscenza di queste cose e il rispetto per la natura fa parte di me, come uomo e come artista.

Per il resto penso che l’arte vada portata ovunque e diffusa tra più persone possibili. Per secoli è stata prerogativa di ricchi e potenti. Io desidero avvicinare all’arte proprio quelle persone che non andranno mai in un museo, non entreranno mai in una mostra.

Questo pomeriggio, con Ina e Murat abbiamo fatto un sopralluogo a Casciana Alta e ho scambiato alcune battute con gli anziani del luogo, abbiamo scherzato e li ho invitati alle mie performance.

Ecco per me quello scambio ha un significato importante. Gli do un valore speciale.

Durante il sopralluogo hai avuto qualche idea su ciò che realizzerai?

Andando in giro per il paese mi è tornata in mente un’esperienza realizzata anni fa al Festival Buskers di Pennabilli dove per la prima volta ho realizzato la tenda della LIBERA MENTE.

Ho creato una tenda di carta in una piccola porta oltre la quale non c’era assolutamente niente e ho fatto entrare due persone per volta dicendo soltanto “Entrate e liberate la vostra mente. Ci potete stare dieci minuti, un’ora, dieci ore. Ma uscite solo quando avete liberato la vostra mente.”

Quando l’organizzatore arrivò nello spazio che avevo allestito si trovò davanti una lunga fila di persone in attesa. Fu molto buffo. Era sbigottito e mi riempì di complimenti per quell’idea che aveva visto tanta partecipazione.

Allora oggi, durante il sopralluogo, quell’esperienza mi è tornata in mente.

Dirò di più, a Casciana Alta raddoppio!

Farò la tenda della LIBERA MENTE per due persone e farò anche la tenda della LIBERA MENTE per solitari.

La cosa mi incuriosisce. Non vedo l’ora di entrare anch’io oltre la tenda della mente liberata! Prima mi parlavi di un ulteriore progetto, sempre in occasione di TRA ART.

Sì, ho intenzione di fare anche una performance. Non voglio anticipare troppo, ma dirò che in questo momento sto lavorando sulla figura del triangolo e una delle piccole piazze di Casciana Alta che corrisponde a questa figura geometrica sarà teatro della mia azione artistica.

Per il resto vi dico: se mi chiamano l’UOMO CARTA ci sarà un motivo no? Userò come sempre i miei rotoli di carta, che saranno i miei colori. Le persone presenti saranno la mia tela. Realizzerò un’opera vivente in cui incarterò materialmente le persone.

Basta, non fatemi dire altro.

E allora fermiamoci qui. In attesa di liberare la mente e fare spazio alla creatività di questo artista che si diverte a creare.

E che, vi assicuro, riesce a divertire anche chi lo intervista.

TRA ART_ QUINTA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

Bruno Sullo

INTERVISTA A BRUNO SULLO

UNA FINESTRA SALVERà IL MONDO!

Di lallaontheclouds

Bruno Sullo è artista, critico d’arte e operatore culturale. È presidente de La casa dell’arte, progetto multimediale per l’arte visiva di Rosignano Marittimo e a Livorno ha co-fondato il gruppo Lavorare- Camminare (2011) con cui sviluppa temi in bilico tra ricerca visiva e questioni esistenziali o di attualità.

Artista visivo, performer e video artista, dall’85 rielabora il tema della finestra come metafora di una possibilità di scambio, di dialogo tra condizioni diverse, tra mondi diversi.

Perché nel dubbio tra stare DENTRO o stare FUORI, si può sempre trovare il cornicione di una finestra dove sostare a riflettere.

Leggo sul tuo sito (www.brunosullo.org) che uno dei temi portanti della tua ricerca è quello della finestra. Che significato dai a questo soggetto?

Sì sono quarant’anni che lavoro su questo tema. Più propriamente il tema è quello del “confine attraversabile”. Del confine inteso non come un muro tra le culture ma come uno spazio con cui le persone possono entrare in contatto; una soglia, un valico attraverso cui si può passare da una parte all’altra. Per esprimere questo concetto ho preso come “simbolo” la finestra. È l’oggetto di uso quotidiano che mette in comunicazione interno ed esterno. Si tratta in primo luogo di una comunicazione visiva ma per me, che sono un artista visivo, stabilire questo tipo di rapporto equivale a “conoscere”.

Un altro elemento che mette in rapporto interno e esterno è per esempio la porta, però la porta ha caratteristiche diverse. Quando entri dalla porta guadagni il dentro e perdi il fuori; e viceversa quando esci. La finestra invece è un elemento architettonico che ti permette di mantenere il contatto visivo anche con quello spazio in cui non sei più. Quando sei dentro, dalla finestra puoi guardare fuori, e viceversa. La finestra permette di stabilire un rapporto biunivoco tra interno e esterno ed è questo che mi interessa.

A cosa si applica oggi un simbolo come la finestra?

A moltissime situazioni; una che mi sta a cuore è quella dei migranti.

Su questo tema ho fatto un video in cui la finestra è vista come una speranza di rapporto, di accettazione, di comunicazione, che tuttavia fallisce.

Quindi questo simbolo, la finestra, per me non è qualcosa di consolatorio. È il mio modo di porre una riflessione su una problematica. Ma io sono un uomo che vive nel mondo e so benissimo che esiste una situazione della realtà e una situazione dell’utopia.

E cos’è per te l’utopia?

A me piace l’Utopia. Sono molto favorevole all’Utopia. L’Utopia lucida è quella cosa che si sa benissimo che è irrealizzabile ma che si persegue lo stesso. È lo stimolo per continuare a lavorare in una certa direzione. Anche se si sa che l’orizzonte non lo raggiungeremo mai, che è una pura illusione di unione tra cielo e mare. Ma intanto andiamo in quella direzione. Non lo raggiungiamo ma lo perseguiamo lo stesso.

In che modo si sviluppa la performance che intendi portare a TRA ART?

Farò un’azione che si chiama IN/OUT PERFORMANCE e che trova il suo fondamento su un’idea di alternanza tra FUORI e DENTRO e sul rapporto tra queste due dimensioni.

A rappresentare l’OUT saranno notizie legate all’attualità, che in questa occasione saranno enunciate da una sorta di telegiornale.

Notizie di attentati, relative a ISIS e terrorismo, ma anche sordide notizie di cronaca fino alle notizie che riguardano i migranti. Notizie di natura diversa che producono reazioni diverse in me, come performer.

Le mie reazioni saranno espressione dell’IN, della dimensione interiore: da una condizione di follia e dissociazione psichica mi si vedrà passare alla somatizzazione fisica, corporea, di un dolore interiore, fino ad un processo di identificazione con i migranti stessi. La conclusione vedrà appunto la comparsa materiale dell’elemento finestra come simbolo di una speranza.

A sottolineare questa possibilità di conciliazione tra dimensioni diverse ci sarà in conclusione un momento di contatto fisico con i presenti. L’abbraccio nella sua concretezza dice molte cose.

Io poi sono un “abbraccione”. Mi mette in guardia anche mia moglie, che mi dice “Abbracci sempre tutti. Prima o poi qualcuno ti tirerà un ceffone!”.

Dunque: aprire una finestra può salvare il mondo?

Io credo che la nostra società soffra dell’incapacità di trovare e capire le intermediazioni. Regna la dicotomia. Il bianco e il nero. La cultura dell’out out. Se uno ha ragione l’altro deve aver per forza torto.

In questo senso la finestra come simbolo concreto, con tutti i suoi buchi che fanno parte della sua conformazione, può intervenire in due modi: uno è quello di passaggio tra IN e OUT appunto, tra esterno e interno. Cosa che d’altra parte è la sua funzione primaria. Dall’altro – come emerge anche all’interno della performance– per avere una prospettiva più umana e una maggiore speranza: “aprire la finestra” della nostra intelligenza e del nostro cuore e ricordando di avere l’una e l’altra. La finestra come simbolo di rapporto tra esseri umani può essere ciò che ci permette di sopravvivere e magari, chissà, anche di vivere un po’ meglio.

Magari anche questa è un’utopia lucida. E come dicevo poco fa l’importante non è afferrare l’utopia ma continuare ad andare sempre in quella direzione.

TRA ART_ SESTA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

INTERVISTA A I SANTINI DEL PRETE.

NON CHIAMATELI ARTISTI

tra cielo e mare

Di lallaontheclouds

Si definiscono nipoti di Marcel Duchamp e figli di Joseph Beuys.

Sono stati nominati dal grande Satrapo della patafisica Enrico Baj “Cavalieri dell’ordine della Giduglia nonché reggenti la Cattedra di Clonazione Ferroviaria”.

Franco Santini e Raimondo Del Prete hanno unito i loro cognomi dando vita, da venticinque anni a questa parte, a un binomio che da una parte odora di oratorio e catechismo, dall’altra contribuisce a far perdere l’orientamento a chi si avvicina alle loro performance, salvo essere condotto, una volta smarrite le coordinate, del mondo dell’ARTE.

Pardon, della NON ARTE .

I SANTINI DEL PRETE fin da subito dichiarano: “Non siamo artisti, siamo ferrovieri”.

E allora – penso- cosa ci facevano alla biennale di Venezia nel ’99?

E al Centro De Arte Moderno di Madrid nel 2006 o al Metastasio di Prato nel Dicembre 2015?

Poi complice una serata di convivio e una cena da leccarsi i baffi, mi spiegano per filo e per segno cosa c’è dietro alla loro fiera rivendicazione di essere non artisti. E dopo lo spaesamento iniziale, nel corso della serata, intravedo qualche barlume di luce.

Come Quando il Treno Esce dalla Galleria.

Dunque I SANTINI DEL PRETE. Non artisti. Ferrovieri?

SANTINI: Questo è il nostro motto: non siamo artisti siamo ferrovieri. Ed è proprio così. È vero. Non è un’invenzione. Il nostro Libro dei Libri è l’Orario ferroviario.

Sul palcoscenico del Metastasio di Prato abbiamo recitato l’orario ferroviario da Livorno a Prato. Con tutte le fermate.

Duchamp aveva messo una ruota da bicicletta su uno sgabello e aveva detto “Questa ruota da bicicletta la mettiamo nel museo e diventa arte”.

E noi cosa facciamo? Portiamo noi stessi nel museo e diventiamo Arte. Tutto quello che facciamo infatti è relativo alla nostra immagine. Siamo brutti? Fa lo stesso, questa è la nostra scelta per “intrufolarci” nel mondo dell’ARTE.

Una delle nostre prime performance, nel ‘92 è stata al museo Flash Art di Trevi dove siamo arrivati con una nostra valigia, ci siamo spogliati, abbiamo indossato la divisa da ferrovieri e poi ci siamo istallati lì come opera d’arte e siamo rimasti nel museo.

Fino all’ora di cena, sia ben chiaro…

Avete riproposto altrove questa performance?

SANTINI: Le nostre azioni cambiano sempre. Non facciamo mai la stessa performance. Magari possiamo mantenere il tema. Per Casciana Alta il concetto di fondo della performance sarà lo stesso che abbiamo recentemente portato a Napoli e a Piombino a Tra Cielo e Mare

DEL PRETE: Le nostre performance si basano sulla sorpresa, sul coinvolgimento e sullo straniamento. Già quando arriviamo con la nostra divisa in contesti non ferroviari c’è un effetto particolare sul pubblico. Poi da lì cominciamo a giocare, a coinvolgere. Ma non è possibile descrivere una nostra performance. Ogni volta è una cosa diversa.

Nel senso che lasciate spazio all’improvvisazione?

SANTINI: Non si tratta propriamente di improvvisazione. Questo è un concetto che appartiene più propriamente al teatro. Le nostre performance sono creazioni momentanee che variano a seconda dello stato d’animo, del tempo, della situazione, delle persone coinvolte.

Noi parliamo piuttosto di Arte Effimera.

Che durata hanno le performance?

DEL PRETE : Come le belle canzoni le performance non devono durare troppo. Si parla di dieci- quindici minuti al massimo. Anche perché non è teatro.

SANTINI: È una creazione.

DEL PRETE: Sì. Noi la intendiamo come un’apparizione.

Qual è il senso della NON ARTE?

SANTINI: Noi partiamo da un dato di fatto. Siamo ferrovieri. Non siamo artisti.

DEL PRETE: Questa affermazione gioca con l’identità dell’artista, che soprattutto ora che l’arte è stata sdoganata sotto tante forme, è sempre più difficile da identificare.

Noi crediamo molto nell’idea di Creatività Diffusa.

La creatività, al di là del ruolo e della professione, è una qualità comune a tutti gli uomini.

Partiamo dal presupposto, che poi non è nostro ma di tanti artisti della Avanguardie del Novecento, che la creatività è una qualità dell’uomo. Noi paragoniamo sempre il rapporto tra l’arte e l’artista a quello tra la spiritualità e il prete. Il prete ha un ruolo nell’ambito della spiritualità ma la spiritualità è propria di tutti gli uomini. Nello stesso rapporto stanno artista e creatività.

Per quello che ci riguarda noi partiamo dalla nostra divisa.

È l’assioma, la certezza di partenza. Siamo ferrovieri.

Però ci piace l’arte, ci piace la creatività e abbiamo cominciato a giocare su questa identità messa in un contesto diverso.

SANTINI: Stasera è una serata speciale. Forse abbiamo mangiato particolarmente bene perché io credo che in vent’anni sia la prima volta che parliamo di noi in questi termini. Quando qualcuno c’ha intervistato abbiamo sempre mantenuto il nostro personaggio.

Durante le interviste “abbiamo tenuto la parte”.

Vuoi sapere l’orario di un treno per andare a Firenze?”- dicevamo ai critici che ci intervistavano-

Noi te lo diciamo.”

E il più delle volte non ci capivano niente.

Stasera è stata una serata un po’ anomala.

Sarà stato il vino, lo sformato squisito…

TRA ART_ SETTIMA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

INTERVISTA A MAURO ANDREANI E PAOLO BOTTARI

DALLA RICERCA ARTISTICA AVANZATA ALLA PERFORMANCE POPOLARE PER AVVICINARE LA GENTE ALL’ARTE. E L’ARTE ALLA GENTE

Di lallaontheclouds

firenze1 sullo andreani (sant d prete)

Si definiscono Artisti Paralleli e ormai da cinque anni hanno intrapreso un percorso comune pur mantenendo anche una propria autonoma attività.

I livornesi Paolo Bottari e Mauro Andreani operano nel campo dell’arte dagli anni Sessanta: dalla pittura alle tecniche miste con i materiali più disparati alle istallazioni, si muovono con spirito di ricerca nella molteplicità dei linguaggi che l’arte contemporanea esplora fino a concentrare i loro interessi, segnatamente dagli anni Ottanta in poi, nelle arti performative e comportamentali.

È in quest’ultimo ambito che cinque anni fa hanno dato vita al progetto TESPI che porteranno a Casciana Alta per TRA ART.

Quando li incontro premetto: lallaontheclouds non è un’esperta, è solo una persona curiosa a cui piace mettere il naso nelle cose dell’arte. Magari proprio come chi si ritrova a leggere le sue interviste.

Parlando con loro scopro che in qualche modo sono l’interlocutore ideale per raccontare questo progetto artistico.

Che non a caso si inserisce in una TRILOGIA che gli autori definiscono POPOLARE.

E mi mostrano il libro dedicato a questo progetto dove compaiono in copertina durante una performance. La fotocomposizione li mostra in primissimo piano mentre sullo sfondo la marea di persone che affollano una piazza guarda in direzione opposta.

“Ecco, con questo progetto” -mi raccontano- “vorremmo che in questa folla di persone qualcuno cominciasse a voltarsi verso di noi e soprattutto verso le varie espressioni dell’arte contemporanea”. Perché arte e vita sono in continuo dialogo. E i segni dell’arte per chi si sofferma ad osservarli, gettano incessantemente lampi di luce sulla realtà.

Tespi 2016. Vi va di raccontarmelo?

Bottari: In questo progetto Andreani si serve dei personaggi disneyani, in particolare Topolino, Paperino e Pippo. Dapprima vengono condotti su un piccolo carro, poi viene allestita per terra una rappresentazione dove i personaggi affronteranno le più svariate situazioni. È una rappresentazione che sta in equilibrio tra commedia e tragedia: guerra, pace, morte, malattia. Io partecipo a questa performance suonando brani popolari giocosi come il Girotondo dei bambini, Oh mio bel Castello o Madama Dorè. Oppure, quando i “paperini” e i “topolini” vanno in guerra si sentono in sottofondo brani noti come Le stellette che noi portiamo o Addio mia bella addio. Chi passa trova riferimenti visivi e musicali in qualche modo noti che vorremmo portassero ad un avvicinamento ai contenuti della performance.

E’ un lavoro che vorrebbe accorciare la distanza che c’è attualmente tra la ricerca artistica contemporanea avanzata e il sentire comune. Siccome siamo convinti che le problematiche fondamentali dell’uomo siano le stesse sia per l’artista che per le persone che possiamo trovare a passeggio per i mercatini, si è cercato un trait-d’union tra questi diversi modi di esprimersi e di sentire. Si tratta per un verso di uno spettacolo musicale, per un altro è una performance di arte contemporanea comportamentale.

Cos’è esattamente il carro di Tespi?

Bottari Il carro di Tespi è un riferimento preciso al carro dell’omonimo tragico greco che girava con i suoi teatranti nell’intento di portare la sua arte ovunque, senza aspettare che le persone andassero da lui ma andando lui dai potenziali spettatori. È stato poi ripreso e riutilizzato in vari momenti storici, anche nel fascismo. Il nostro carro di Tespi è molto piccolo e porta su di se’ qualche decina di queste figure disneyane e altri strumenti utili alla performance.

Come vi è venuto in mente di utilizzare i personaggi disneyani? Che significato gli date?

Andreani: I personaggi disneyani per me rappresentano tutta l’umanità, o meglio grandi aspetti dell’umaità tutta: il Paperino anarcoide, il Topolino saccente, Pippo un po’ svagato. Attraverso questi personaggi cerchiamo di avvicinare il pubblico. La tematica è sempre quella del rapporto un po’ irrisolto tra uomo e vita. L’aspetto esistenziale è sempre al centro del nostro interesse.

Visto che siamo a parlare di questi personaggi aggiungo questa curiosità: pare che Hitler fosse appassionato di questi personaggi e addirittura facesse riflessioni del tipo “Ma perché questi personaggi sono così “simpatici”? Perché mi piacciono così tanto? In fondo sono personaggi deformi: topi, paperi, cani umanizzati….era addirittura intenzionato a incontrare lo stesso Walt Disney, incontro che tuttavia Disney non accettò mai di avere.

E a voi sono simpatici?

Andreani: Per noi sono utili per far avvicinare sentimentalmente le persone a ciò che viene rappresentato. Facciamo vivere a questi personaggi situazioni proprie dell’esistenza umana. Le problematiche esistenziali d’altra parte sono il punto focale del nostro interesse come artisti. E ciascuno di questi personaggi ha una caratteristica che è rappresentativa del genere umano. Tutta la platea di Disney è un po’ così. Da Paperina a Qui Quo Qua eccetera. Questi tre però, Paperino, Topolino e Pippo per le caratteristiche che incarnano rappresentano nel complesso l’umanità tutta.

Andreani e Bottari hanno raccolto la sfida che oggi chi fa arte contemporanea non può non sentire.

La distanza tra la ricerca artistica e il pubblico o, come precisano loro, la gente, nel senso della più estesa massa di persone, è piuttosto evidente.

Mentre scrivo ho qui accanto al computer un Manuale di Istruzioni per l’uso dell’arte contemporanea che si intitola Non ci capisco niente di Francesco Poli, professore di arte contemporanea a Torino e a Parigi.

E che ho scelto proprio per questo titolo.

Perché spesso davanti all’opera contemporanea si rimane sbigottiti.

Per questo apprezzo molto che questi due artisti, cercando di leggere le rifrazioni luminose che vita e arte si rimandano a vicenda, abbiano cercato un modo semplice per tradurre le complicate domande che la vita, e l’arte, ci pongono.

In attesa di vederli in azione.

TRA ART_ OTTAVA PUNTATA

Di Lalla_ontheclouds

ina ripari

Ina Ripari. La forza della delicatezza

di lallaontheclouds

Ina Ripari, nasce nel 1959 in Sicilia, in provincia di Palermo, e si trasferisce giovanissima in

Toscana, a Prato, dove ha inizio la sua attività artistica.

La sue pitture, per lo più realizzate con tecniche miste, sono state esposte in numerose

mostre personali e collettive. Mentre la sua pagina facebook racconta soprattutto della sua

più recente attività di performer, spesso in coppia con l’artista Murat Önol, anch’egli tra i

protagonisti di TRA ART.

Quando la incontro, una domenica di maggio, mi racconta i suoi progetti per Casciana Alta:

un intervento ambientale che avvicini le persone al borgo, le aiuti a comprendere le

peculiarità di questo luogo. E mi mostra in una foto sullo smartphone il panorama che si

vede dalla Rocca. Da lì avrà inizio la performance. Da lì si vede il mare, mi dice. E io che a

Casciana Alta ci vado fin da quando era bambina quel panorama non lo conoscevo.

E penso. Chissà che seguire la sua performance non faccia scoprire prospettive e visioni

nuove anche a me.

Quali sono le tue idee per TRA ART?

Ho in mente una performance di interazione con il paese e con il territorio. Una

performance in cui anche le persone siano invitate a interagire. Questo territorio ha una

sua fragilità, una sua delicatezza. Vorrei avvicinare le persone presenti a penetrare e

comprendere queste caratteristiche che per me saltano agli occhi con evidenza.

In che senso ritieni fragile Casciana Alta e il suo territorio?

Durante questo sopralluogo ho visto tanti cartelli “vendesi”, case vuote, abbandonate,

portoni vecchi che però hanno un loro fascino, una loro storia. Magari non tutti coloro che

vivono qui sanno cosa c’è dietro a certe porte chiuse, a certe finestre chiuse.

La mia intenzione è quella di andare a scoprirlo insieme.

Pensi quindi a una performance itinerante?

Sì, sicuramente. Penso di partire dalla Rocca e andare a toccare altri luoghi del paese.

Vorrei entrare con delicatezza e con molto rispetto. Spero che attraverso l’interazione certe

porte e cancelli chiusi possano aprirsi…

In che fase sei del tuo percorso artistico? Come si inserisce lo stimolo che viene da TRA

ART nel tuo lavoro?

Al centro del mio lavoro c’è – da sempre- la donna.

Nella mia storia personale il pensiero va a mia nonna che era stata adottata, e che ha avuto

sette figlie femmine cresciute con l’idea di dover essere serve, di dover essere schiave,

perché secondo lei era l’unica cosa che potevano fare le femmine.

Mia madre per rifuggire da questo sistema si è sposata giovane e si è fatta una famiglia.

La mia coscienza di donna è in primo luogo legata a queste due figure femminili. Nel mio

lavoro ho sempre cercato di portare l’attenzione e la riflessione sul ruolo delle donne, su

questo loro essere spesso succubi nella società.

La performance di TRA ART in parte si distacca da questo filone di ricerca in parte è

comunque un’occasione di lavoro introspettivo. Il mio animo, di donna, in questo caso si

apre alla conoscenza di un territorio nuovo e cerca di recepire gli stimoli che questo mi dà.

Qual è la tua misura personale per sentire che una cosa arriva? Che un gesto,

un’immagine, una frase, hanno la forza di raggiungere chi guarda?

Francamente non ho certezze a questo riguardo. Preparare una performance è sempre

un’incognita. All’inizio ci sono i mille dubbi e ansie.

Se avessi sicurezze mi metterei a un tavolino come un burocrate e saprei alla perfezione

cosa fare. Ma io certezze non ne ho. Nel momento in cui c’è un tema, uno spunto che

genera in me un sentimento importante penso che anche gli altri possano esserne toccati.

Ecco, parto da questa piccola presunzione. Poi magari accade che alla fine le persone siano

commosse o partecipino attivamente. Allora capisco che quello che volevo comunicare è

arrivato. Qualcosa negli altri si è smosso. Ma se sapessi già dove voglio arrivare e quali

corde toccare per arrivarci sarebbe inutile quello che faccio.